Costruzioni in Cartoncino

Una via di città in due dimensioni

di Gabriele Montella

Dopo i primi due edifici (Mod. 101 e 102) Rivarossi abbandonò l’idea di proporre i successivi in 4° di copertina della Rivista, sia perché  il ritaglio rovinava il fascicolo (le fotocopiatrici a colori sarebbero arrivate decenni dopo…) e sia perché di troppo ridotte dimensioni che avrebbero impedito realizzazioni di più ampio respiro.

Così già dal n. 3 di agosto 1954 si passò all’inserto di dimensioni doppie che permise di riprodurre una piccola officina a due corpi di fabbrica con tetti spioventi.

Si proseguì così fino al n. 13 di aprile 1956 quando Rivarossi volle nuovamente innovare tentando la strada dell’agglomerato urbano.

da H0-Rivarossi n. 13

 

Considerando però il rilevante ingombro trovò che l’unica soluzione possibile fosse quella di “metterlo in corrispondenza di un margine del plastico così da formare uno sfondo e nello stesso tempo limitare lo spessore delle case a qualche centimetro appena, incollandole magari su uno sfondo piano in modo da ottenere una specie di basso rilievo”  (n. 13, pag. 18).

Il progetto iniziale era di sei facciate che potevano riprodursi in tre inserti, posto che non dovevano trovare spazio la parti posteriori e i fianchi erano ridotti ad un paio di centimetri.

Il Mod. 313 riportava quindi una palazzina gialla a due piani destinata, come diceva l’insegna, a “Scuola di ballo” (evidentemente un divertissement della Redazione) ed un lussuoso palazzo di abitazione a tre piani oltre abbaini, al quale si accedeva attraverso un elegante portone con un cancello in ferro battuto.

Contrariamente al solito quando finestre e porte erano solo tratteggiate perché si consigliava di utilizzare quelle di produzione Faller, quel portone era riprodotto nei particolari, evidentemente perché Faller non lo aveva in catalogo.

Seguirono ai bimestri successivi  il Mod.  314, con due palazzi di abitazione di cui uno moderno con grandi vetrate, l’altro meno recente con il balcone al “piano nobile” e il Mod. 315, con il quale si tornava al terziario proponendo una palazzina bianca con l’insegna “Standard” di un negozio di abbigliamento ed una azzurra con al piano strada la Trattoria “ Da Aldo” (dico Trattoria e non Ristorante perché all’ingresso vi è una simpatica tenda a quadretti bianchi e rossi tipica delle trattorie lombarde).

Presentando questo inserto Rivarossi suggeriva la possibilità di un utilizzo delle facciate nel modo che oggi si direbbe “modulare”, cioè accoppiandoli per creare una casa di abitazione a due ingressi, ovvero il negozio di abbigliamento Mod. 315 a due vetrine con la stessa insegna, ovvero infine sostituendo l’insegna della “Scuola di ballo” con un’ altra ritagliata da una rivista.

Si diceva come forse l’iniziale progetto era quello di sei facciate (o almeno così lasciava intendere il bellissimo (dalla Costa?) disegno di presentazione nel n. 13, ma evidentemente l’idea ebbe successo perché gli inserti proseguirono per altri tre numeri, fino a febbraio 1957.

Quello del n. 16 era una grande casa di abitazione di tipo popolare a due piani più abbaini, quello del n. 17 era il Cinema “Abel” con le uscite di sicurezza correttamente rivolte sulla strada (sarà un caso, ma a Milano negli anni ’40 e ’50 esisteva davvero un piccolo cinema chiamato così, dalle parti di Porta Genova), e infine quello del n. 18 era un palazzo di linea modernissima (quasi un minigrattacielo), destinato forse a uffici perché è l’unico senza descrizione all’interno del fascicolo.

Questo il rione cittadino immaginato da Rivarossi alla fine degli anni ’50, un rione sobrio ma impreziosito dal palazzotto nobiliare (il Mod. 313, quello col cancello in ferro battuto), i cui abitanti si divertivano alla “Scuola di ballo”  o al piccolo Cinema “Abel” e che magari alla domenica potevano permettersi un pranzo con la famiglia o con gli amici “da Aldo”.

Non era “Italietta”, era Rivarossi!

 

Produzione Edifici in Cartoncino