Prototipi: chi eran costoro?

Un tema che fa storcere spesso il naso

(di Andrea F. Ferrari – tratto da “Rivarossi, l’evoluzione dei primi modelli delle FF.SS.”)

 

In questa sede non si ha la presunzione di affermare chissà quali certezze e/o verità; ci si limita semplicemente, con rispetto verso tutti coloro che possiedono ancora maggiori conoscenze, ad analizzare particolari visibili e di ricostruire la storia e la genesi riguardo questo tema.

 

Questo argomento risulterà abbastanza intricato e complesso, come è naturale che sia, dato che stiamo per inoltrarci in esperimenti, prove, modelli insomma realizzati… ma mai commercializzati se non, addirittura, scartati, rivisitati e/o stravolti del tutto.

Molte delle possibili risposte ai tanti dubbi avrebbero, forse, potuto avere alcune risposte con l’attenta consultazione del meraviglioso Museo Rivarossi, ahinoi, svanito al giorno d’oggi, prima ceduto… poi smembrato recentemente.

Una grande perdita non solo per gli amanti del genere, ma anche per la città stessa – e mi sento di dire, per l’Italia intera!

Il più grande rimpianto del sottoscritto è quello di non avere mai avuto occasione di osservare di persona i molti tesori ivi contenuti, data la scarsezza di materiale fotografico al riguardo di cui si può usufruire al giorno d’oggi.

Le pochissime fotografie, da cui si sono potute trarre informazioni, lasciano trasparire svariati modelli e anche la presenza di pre-serie/prototipi.

Un’opera encomiabile (se si travalicano datazioni e codici, molto spesso errati) è rappresentata dal volume “Rivarossi 1946-1981” realizzato da C. Molfa nel 1981, in cui si possono ammirare anche modelli sconosciuti ai più (alcuni inediti) e, sicuramente, raffiguranti solamente una esigua parte di quello che era gelosamente contenuto nello stabilimento.

Dato che, come si accennava, il Museo fu smantellato, le uniche informazioni che si possono reperire tuttora sono riposte nelle testimonianze dirette di collezionisti di vecchia esperienza, conoscenti e/o ex “collaboratori” della ditta, frequentatori del Museo e, infine, da quel poco (e mal documentato) che è stato esposto nella sezione dedicata all’ Hornby Visitors Centre a Margate (UK).

Il tutto, unito al volume Molfa appunto.

Tuttavia, è un dato di fatto quasi oggettivo, che i modelli più insoliti e rari siano stati spesso “trafugati” (si sceglie di usare questa parola con una forte carica espressiva) al momento della chiusura da parte di collezionisti/commercianti/speculatori, anche stranieri, alquanto avveduti si direbbe…ma non si esclude anche da parte degli ultimi ex dipendenti, (a titolo di risarcimento economico?).

Bisognerà aspettare ancora vari anni secondo il sottoscritto, prima che riemergano alcuni degli esemplari più insoliti e strani anche se, già oggi nel 2019, non sono pochi quelli che si sono potuti ammirare concretamente (per vie traverse).

 

Il testo che segue cercherà di riportare tutte le conoscenze in merito, reperite per l’appunto con ciò che si ha a disposizione, con ciò che si è potuto analizzare sia da immagini originai che da modelli concreti. Il tutto, infarcito da una buona dose di esperienza e ricostruzione storica.

 

Nell’analizzare una evoluzione di un determinato modello (non solo nel mondo modellistico) non si può non iniziare dalle pre-produzioni di cui spesso si sa poco o niente, proprio perché forse realizzate in pochissimi esemplari, se non unici, ad oggi ormai distrutti e/o persi (anche nella memoria storica…) 

Nel nostro argomento, in particolare durante gli anni ’40 e i primi ’50 del secolo scorso, il mondo Rivarossi ha conosciuto svariati modelli realizzati artigianalmente (considerando che erano anche gli esordi della stessa ditta, nonché del fermodellismo italiano in generale…).

La vera difficoltà, oltre all’impossibilità di avere sufficienti fotografie o esemplari concreti su cui ragionare, è rappresentata dal fatto che all’epoca le autocostruzioni artigianali home made erano all’ordine del giorno ed erano facilitate dalla grande varietà di pezzi di ricambio forniti dalle stesse ditte, in primis da Rivarossi stessa che, con i suoi kit allenava molto bene i fermodellisti nella manualità.

Dunque, i pochi reperti che al giorno d’oggi si possono con fatica reperire devono essere vagliati attentamente per capire se si stia parlando di una rarità o, più semplicemente, di una autocostruzione (anche perché si devono distinguere i cosiddetti “falsi originali” da “falsi canonici”).

Il discorso prototipi, ad ogni modo, è fondamentale in una ditta manifatturiera, e anche in una casa costruttrice come Rivarossi.

Ma cos’è un prototipo?

 

Se si effettua una semplice ricerca su internet, alla voce prototipo viene data la seguente definizione:

Il prototipo è il modello originale o il primo esemplare di un manufatto, rispetto a una sequenza di eguali o similari realizzazioni successive. Normalmente costruito in modo artigianale e in scala 1:1, sul prototipo verranno effettuati collaudi, modifiche e perfezionamenti, fino al prototipo definitivo.

 

Una cosa è certa: anche in RR i prototipi venivano realizzati.

“Certa” perché c’è più di una testimonianza al riguardo (persino dell’Ing. Rossi in persona), a livello fotografico dal volume Molfa, dagli stessi cataloghi, su cui spesso figuravano modelli in fase di sviluppo e da immagini raccolte in questi ultimi anni da fonti attendibili.

Un esempio che tutti possono notare immediatamente, e senza troppa fatica ricercativa, è il caso del locomotore elettrico E 424.

Partendo semplicemente da una fonte più che attendibile come il catalogo 1952, si nota come la locomotiva raffigurata non corrisponda a quella che veramente venne messa negli scaffali dei negozi e che tutti noi conosciamo!

Basta poco per cogliere le numerose differenze a livello estetico.

Addirittura, in quello stesso catalogo c’è più di una foto di questo esemplare che non è – assolutamente – quello che sarà poi commercializzato.

Il motivo del suo inserimento sul catalogo non possiamo appurarlo con certezza visto che sono trascorsi ben più di sessant’anni.

E’ plausibile ipotizzare che questo modello, non molto discostante da quello poi ufficialmente prodotto, sia stato realizzato in un momento temporale vicino alla pubblicazione del catalogo (che ovviamente veniva compilato mesi e mesi prima del fatidico 1° Gen. 1952) e che quindi fosse utilizzato per la stampa (che è bene ricordare, era in b/n, da cui le differenze tollerabili di cromie).

Un modello, dunque, che si discosta dalla produzione di serie non solo per la colorazione – le cui differenze sono lampanti – ma anche per alcuni dettagli come carrelli, pantografi, corrimano, ecc.

 

Materiale costruttivo

Un dato che finora non si è menzionato in questa affascinante tematica è l’ambito costruttivo.

Rivarossi è stata sinonimo di innovazione soprattutto per quanto riguarda i materiali costruttivi: si è detto e ripetuto, infatti, come la principale novità nel lontano 1945 fosse stata la scelta della bachelite come materiale utilizzato per carrozzerie e carrelli dei modelli, in un mondo dominato dal metallo.

Sul discorso prototipi, invece, si deve fare una precisazione.

Tutte le testimonianze pervenute riguardo questo annebbiato tema riportano un unico dettaglio: la costruzione di questi esemplari era realizzata in materiale metallico (dall’ottone al lamierino arrivando alla zama).

Prima di gridare allo scandalo e di accusare questo testo di proferire vere e proprie “eresie”, si devono operare alcune considerazioni in merito a quanto qui di seguito riportato.

Innanzitutto, la prova concreta:

i reperti fotografati tutt’oggi, perfettamente combacianti con alcune delle poche immagini presenti sui cataloghi, sono effettivamente realizzati in metallo (abbiamo la prova di esemplari primordiali di An1, E 626, Hiawatha per dirne alcuni).

In secondo luogo, è dato supporre che, al tempo, la realizzazione di un modello costruito ex novo, magari come primo abbozzo del nuovo progetto o come versione semi-definitiva, potesse vertere sulla scelta di un materiale più resistente della bachelite.

Si pensi, probabilmente, a modelli che avrebbero dovuto sostenere viaggi per esposizioni, test e collaudi elettrici, ripetute sedute fotografiche per cataloghi, ecc.

Insomma, non sembra, almeno al sottoscritto, una gran castroneria compiere tali affermazioni.

Di fronte alla confutazione riguardo alla inutilità per Rivarossi, abituata da anni alla bachelite, di realizzare modelli in metallo, si propone la risposta sopra descritta e si aggiunge una piccola e forse non insignificante sottigliezza: si tratta di prototipi, non di esemplari da commercializzare…!

A sostegno di tale tesi si riporta inoltre la testimonianza concreta di un esperto collezionista bolognese in possesso della confezione “I B&O A/R” che fu utilizzata per le fotografie sul catalogo e che, senza ombra di dubbio, deve essere stata una delle – se non la – prima prodotta.

Il contenuto della confezione non mente: la rinomata B&O e i due carri sono realizzati tutti in zama (si sta parlando delle carrozzerie, non dei soli telai!).

La confezione in esame fu ceduta da A. Rossi in persona a un amico negoziante di Bologna anni addietro.

Di fronte a ciò ritengo che sia difficile fare obiezioni a meno di non mettere in discussione il fondatore della nostra passione…

Si è a conoscenza anche della prima versione del caimano E 656 in livrea TEE, realizzato in ottone nella prima metà degli anni ’70 ed esposto come novità nel catalogo 1975 (stiamo parlando di ben tre decadi successive agli esordi…).

Un esemplare unico, poi mai commercializzato in siffatta colorazione.

Confrontando il modello concreto con l’immagine del catalogo, si può notare come la scritta frontale “E 656-001” sia scritta a mano libera con le stesse sbavature del catalogo!

 

Colorazione

Altro tema interessante e non privo di importanza (nonostante la qualità delle poche immagini) è la verniciatura.

La bachelite come già detto, permetteva a differenza del metallo, una colorazione dei modelli anche senza la necessità dell’utilizzo di vernici. Infatti, fino al 1950 erano pochi i modelli verniciati, o per lo meno, le vernici erano utilizzate per i dettagli e le rifiniture come i tetti, i carrelli, i fanali e i pantografi (vv. E 626 ad esempio).

Le carrozzerie dei vari bomboloni, delle stesse E 626 non erano verniciate, ma cambiavano colorazione per specifici additivi introdotti nella modulazione della bachelite all’interno degli stampi (ne sono un esempio le varie versioni colorate delle An1).

Essendo i prototipi realizzati diversamente, la verniciatura era doverosa e dato che venivano spesso utilizzati per fotografie di anteprima su bollettini pubblicitari, riviste e gli stessi cataloghi, la scelta del colore non poteva che ricadere su qualcosa di chiaro, per la migliore resa su stampa.

Niente era lasciato al caso, tuttavia.

Da una testimonianza più che affidabile, per la quale è sufficiente riportare un nome (www.rivarestore.com), si è a conoscenza che Rivarossi utilizzava uno specifico colore introdotto dalle stesse FS per pochi esemplari: una particolare cromia di giallo spento analogo, se non identico, a quello utilizzato sui noti modellini Conti.

A discapito dell’apparenza, questa particolare quanto insolita livrea, era stata utilizzata dalle Ferrovie dello Stato per pochissimo tempo su prototipi (reali), da cui il suo utilizzo nel fermodellismo.

Non è una coincidenza, allora, se la maggior parte degli esemplari di cui stiamo parlando, che si son potuti osservare, vantino questa insolita colorazione.

Ne sono un esempio la Hiawatha, presentata nel catalogo 1948 in una colorazione che non si sarebbe mai più rivista e forse mai entrata ufficialmente in produzione (il cosiddetto “avorio”).

Il modello, metallico, di questa locomotiva si presenta oggi proprio in giallo crema con rifiniture rosse (esattamente quelle che si vedono sull’immagine del catalogo).

La prima E 626, comparsa sulla Rivista del Giocattolo (ed. Giugno e Settembre 1946), oltre a vantare le medesime caratteristiche – insolite e molto evidenti – costruttive rispetto alla produzione canonica (vv. dimensioni carrozzeria, finestrini, telaio, carrelli), lascia trasparire una livrea della cassa centrale ancora nel vecchio giallo (simil isabella).

Il modello le cui immagini si propongono qui di seguito è il medesimo illustrato sul Molfa.

E persino il 424 del catalogo 1952 vantava probabilmente questa insolita colorazione (come testimoniato da osservatori del Museo…) unita al tetto metallizzato.

 

La varietà infinita.

Questo tema è affascinante tanto perché è arcaico, ad oggi, quanto perché è vario, senza regole !

Infatti, non per forza tutti i modelli sperimentali dovevano essere realizzati con le stesse caratteristiche (sia tecniche che costruttive).

Ne sono un esempio i tre modelli sperimentali del locomotore elettrico E 636, che fa la sua prima apparizione sul catalogo 1956, ancora in veste non definitiva: il modello raffigurato non è nient’altro che un locomotore realizzato dall’unione – con le dovute modifiche – di due carrozzerie dell’allora prodotta E 424…quindi in bachelite !

Testimonianze di queste versioni di pre-serie sono offerte sia da ricordi diretti di chi ha potuto osservarle di persona, sia dalla fotografia sul catalogo 1956 (la cui unica nota non originale è semplicemente il ritocco per ciò che riguarda la decalcomania frontale), sia, soprattutto, dall’unica fotografia museale, che compare anche nella sez. dedicata del sito, in cui si vede un estratto di una delle vetrine del Museo, sulla cui estrema destra figurano i tre prototipi della E 636 (due con aeratori rossi sul tetto).

Gli stessi esemplari, da ultimo, sono stati anche fotografati e inseriti, nel pluricitato volume Molfa.

 

La medesima immagine della vetrina museale ci propone anche un’altra interessantissima versione che siamo stati abituati a scorgere nel catalogo 1960 e che, forse, non abbiamo considerato con la dovuta attenzione.

Si sta parlando della prima versione del locomotore elettrico E 428, uscito in catalogo nel 1960 con l’inconfondibile tetto grigio opaco (come in voga sugli altri locomotori delle FS all’epoca proposti da RR). Una caratteristica questa, mai più riproposta sui 428 Rivarossi, sin da subito, coi modelli di serie.

L’esemplare in questione fa la sua comparsa: sulla vetrina esposta e fotografata, sul Molfa e, recentemente, dalla triste vicenda del Museo, è comparsa anche una sua immagine tra altri rotabili “traslocati” qua e là.

Si è discusso a lungo sul tema di questo esemplare, che dovrebbe anch’esso essere realizzato in materiale metallico, di singolare familiare somiglianza al modello Fleischmann.

Rimanendo negli anni ’50, sono sempre i cataloghi a offrirci spesso più segreti di quanto possiamo immaginare: il catalogo 1955 presenta la nuova locomotiva diesel da manovra Badoni, denominata “ABL/R”.

La fotografia ritrae però una versione non definitiva, come spesso accadeva, con dettagli differenti dal modello che sarebbe stato commercializzato per anni. Prima fra tutti, l’assenza dei serbatoi sul tetto, nonché sottili variazioni nella scocca.

I prototipi continueranno ad essere realizzati in RR nel corso delle annate (vv. E 428 III° Serie, D 341 II° Serie, E 656, E 633); quelli che noi oggi possiamo osservare e analizzare sono solo una piccola parte (senza dubbio molto interessante data la loro epoca) di quello che ancora potrebbe “emergere”.

 

 

Il tema è costantemente aperto a nuovi sviluppi e si invita chiunque a fornire le proprie conoscenze qualora ne fosse provvisto.                                                                                        

        (andreaferro95@libero.it)

 

Da testimonianze cartacee e concrete, oggi si è a conoscenza di prototipi come:

An1, E 626, Hiawatha, E 424, E 636, B&O, ABL, E 428, E 656, D 341, E 633.

Di seguito si riportano immagini da cataloghi e, ove possibile, gli esemplari concreti.

Immagini modelli ad opera di C.C.

 

 

 

 

 

 

 

La Produzione Rivarossi